20 novembre 2020 - n. 5
Una correzione - Appena pubblicato l’ultimo numero de “il punto” il Ministero dell’Interno ha informato il Garante nazionale che il dato che ieri avevano comunicato circa il numero di persone attualmente in isolamento precauzionale a bordo delle navi conteneva un errore materiale. Il numero complessivo non era 5.112 – così come riferito e pubblicato conseguentemente dal Garante – ma 2.448. Tra questi coloro che sono risultati positivi al contagio sono 197. Il dato, in effetti, aveva suscitato le nostre perplessità, ma era stato confermato. Sono errori che capitato in giornate complicate e che non mutano la fiducia nella continua cooperazione con il Ministero. Ci dispiace di essere stati involontari veicoli di una notizia allarmante e non corrispondente alla realtà.
Persone detenute
Da più parti è stata ribadita la necessità di interventi sul sistema penitenziario per diminuire la densità di presenze ed essere pronti a ogni evenienza di maggiore diffusione del contagio, anche in termini di spazio. Attorno ai provvedimenti emanati dal Governo si è sviluppato un ampio dibattito centrato sulla loro sostanziale limitatezza. Non sono mancati i toni di inutile allarmismo, che certamente non giovano alla razionalità nell’affrontare l’attuale situazione.
Il Garante nazionale, che segue con continuità l’evolversi della situazione, ha avanzato delle proprie proposte di intervento legislativo, in parte ampliando in maniera ragionevole quanto già previsto dal decreto governativo, in parte proponendo nuovi strumenti normativi in grado di tenere insieme le necessità del contenimento dei numeri, della tutela della salute di tutte le persone che gravitano all’interno del mondo recluso, della comprensione dei provvedimenti da parte della comunità esterna. Le proposte – consultabili sul sito del Garante – lungi dal percorrere la via di ipotesi velleitarie nell’attuale contesto politico, indicano strade praticabili e sono state fatte proprie da taluni parlamentari. L’obiettivo è determinare un ritmo di riduzione della consistenza numerica delle presenze non distante, come è ora, da quello dell’aumento della diffusione del contagio.
Da un lato, infatti, negli ultimi otto giorni il numero totale delle persone effettivamente presenti in carcere è diminuito di quasi 400 unità (oggi sono 53.758), una riduzione di meno del 1% del numero complessivo. Dall’altro, parallelamente, il numero dei casi di positività tra le persone detenute è aumentato di 172 e quello tra il personale di 156 (rispettivamente, quindi, del 28% e del 19%). Il dato, comunque, delle odierne 732 positività tra le persone detenute in carcere va letto con attenzione: esso riguarda 77 Istituti (su un totale di 192), in 16 dei quali il numero complessivo è a due cifre. Tuttavia, va osservato che, secondo quanto riportato dai singoli Istituti, soltanto 46 sono sintomatiche (di cui 22 ospedalizzate).
Quello che tutti gli Istituti lamentano è la mancanza di spazi per isolare le persone che entrano in carcere dalla libertà e presentano positività al virus: isolamento essenziale perché la loro situazione di contagio va considerata ben distinta da quella che può svilupparsi tra persone all’interno della sezione, perché è quest’ultima a rappresentare un vero e proprio focolaio. Vale la pena qui sottolineare quanto ha ricordato il Procuratore generale della Cassazione circa la previsione della custodia cautelare in carcere come possibilità estrema del nostro sistema ordinamentale: una affermazione del nostro codice non sempre effettiva nell’esperienza della penalità praticata e che, in particolare nella situazione attuale, deve essere fatta pienamente vivere. Un minore ricorso alla custodia cautelare in carcere è strumento particolarmente significativo per la riduzione dei numeri complessivi.
Quello che tutte le famiglie lamentano è la possibilità di avere informazioni circa le condizioni dei propri congiunti quando questi siano stati trovati positivi e soprattutto quando si siano sviluppati sintomi. La difficoltà della gestione del momento induce a comprendere quanto possa non essere semplice rispondere a questa esigenza; tuttavia, vanno trovate soluzioni praticabili, fermo restando il dovere di informare la famiglia nel caso la persona sia trasferita in una struttura ospedaliera.
La Direzione generale per la giustizia minorile e di comunità prosegue con continuità a informare il Garante nazionale sulla situazione dei propri Istituti che vedono un totale di 303 presenti (di cui 10 ragazze), rispetto a una capienza di 536 posti. L’occupazione dei posti è inferiore al 61% per i maschi e di poco superiore al 18% per le femmine. Ciò non toglie che ci siano due situazioni di sovraffollamento, seppure lieve, a Bologna e a Milano. I minorenni e i giovani adulti attualmente messi alla prova sono 2067 (di cui 1552 in casa), mentre complessivamente coloro che sono in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni (inclusi anche coloro che sono messi alla prova) sono 8561. Le misure alternative (più propriamente dette di comunità) per gli adulti riguardano 28.407 persone (di cui 2551 sono donne), divisi tra affidamento in prova al servizio sociale (16.390), detenzione domiciliare (11.251) e semilibertà (766). La messa alla prova tra gli adulti riguarda attualmente 16.390 persone.
Persone migranti
Rispetto ai dati riportati nell’ultimo numero de il punto va segnalato un aumento generalizzato delle presenze nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr): oggi le persone trattenute nei Cpr sono 455 (erano 348 la settimana scorsa). La capienza complessiva è leggermente aumentata e i posti sono608. Residuale, come di consueto, la presenza femminile: 6 le donne trattenute nel centro di Roma-Ponte Galeria, l’unico che dispone di una sezione femminile. In due dei sette Centri attualmente operativi (Bari e Gradisca d’Isonzo) tutti i posti regolamentari risultano occupati, mentre in quattro Centri i posti residui sono al massimo dieci. La saturazione dei posti disponibili solleva perplessità in relazione alla necessità di disporre di locali di isolamento sanitario nel caso si verifichino situazioni di possibile contagio da Covid-19.
A questo proposito, analogamente a quanto realizzato durante la prima ondata pandemica nella primavera scorsa, il Garante nazionale ha inviato un questionario agli Enti gestori dei Cpr per raccogliere informazioni aggiornate sulla situazione e sulle misure adottate in questo periodo di diffusione del contagio.
Sul fronte delle quarantene delle persone migranti sbarcate sul territorio italiano, nell’ultima settimana si è registrato un raddoppio delle persone presenti a bordo delle cinque navi per la quarantena attualmente in funzione: dalle 2212 del 12 novembre si è passati alle attuali 5112 di ieri. Le persone positive a bordo sono complessivamente 184.
In lieve calo, invece, le presenze negli hotspot, pari a 894 (erano 973 la scorsa settimana), prevalentemente presenti a Lampedusa (con 763 persone).
Privazione della libertà e tutela della salute
Come è noto, il Garante nazionale ha il mandato di monitorare le strutture residenziali, socio sanitarie e assistenziali, come le Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) o le Case di riposo per persone anziane o disabili. In questo quadro, ha avviato una stretta interlocuzione con i Presidenti delle Regioni per raccomandarne la vigilanza sulle situazioni a rischio di limitazione della libertà e sull’osservanza delle Linee guida regionali da parte dei responsabili delle strutture. In particolare, il Garante ha sollecitato le Autorità regionali ad assicurare, nella necessaria sicurezza, sia la possibilità di accesso dall’esterno dei familiari, sia quella di uscita degli ospiti.
Positiva in questo quadro, la decisione delle Regioni del Veneto e dell’Emilia-Romagna di distribuire in tali strutture i tamponi per effettuare test rapidi sia sugli operatori sanitari sia – ed è questo l’elemento di novità – sui visitatori esterni. Tale screening consente di conciliare il mantenimento delle fondamentali relazioni affettive con le esigenze di prevenzione sanitaria. Il Garante nazionale auspica che simili strumenti siano introdotti anche nelle altre regioni, per realizzare quel delicato bilanciamento tra la tutela della salute e i fondamentali bisogni relazionali e affettivi delle persone più fragili, per le quali le videochiamate, anche a motivo di patologie specifiche di cui sono spesso portatori, non sono una soluzione adeguata.
Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems)
Nei giorni scorsi, il Garante nazionale ha avviato una attività di monitoraggio, con cadenza quindicinale, sulla diffusione del Covid-19 nelle Rems e sulle conseguenti possibili situazioni di restrizione della libertà. Le principali aree di possibile compressione della libertà prese in considerazione sono le visite dei familiari, le uscite trattamentali, le situazioni disciplinari, oltre al monitoraggio dell’andamento della diffusione del contagio tra gli operatori e i pazienti.
Dalle prime risposte giunte dalle Rems di Calvi Risorta, Vairano Patenora, Carovigno, Volterra, San Nicola Baronia, Spinazzola – che non consentono ancora di avere un quadro generale della situazione – emerge che una parte delle Rems fin dal mese di settembre aveva ridotto la frequenza mensile delle visite di circa il 50%, sospendendole del tutto dal mese di ottobre. Colpisce il fatto che nessuna delle strutture si trovava al momento della risposta in zone classificate ad alto rischio di contagio. Già nel mese di settembre, tre delle strutture analizzate avevano introdotto degli screening sanitari periodici, a cadenza quindicinale o mensile, per il personale e in due di esse anche per i pazienti. I colloqui telefonici risultano essere stati incrementati progressivamente fin dal mese di settembre, ma nessuna delle strutture ha segnalato l’utilizzo della videochiamata. La possibilità di passare del tempo all’aperto è garantita dalla presenza di spazi esterni disponibili in tutte le strutture, da un minimo di cinque ore sino al libero accesso durante la giornata.
Solo in una delle Rems, quella di San Nicola Baronia, ci sono stati dei casi di contagio, con nove operatori risultati positivi. Attualmente, personale e pazienti sono sottoposti a screening sanitario settimanale.
Una Commissione nazionale per i diritti umani
Mercoledì 11 novembre, nell’ambito dell’adempimento degli obblighi a cui il nostro Paese è tenuto in quanto parte dell’Unione europea, esponenti della maggioranza parlamentare hanno presentato un emendamento alla cosiddetta “legge europea 2019-2020”. Emendamento che propone l’istituzione di una Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani. Si tratta di un organismo presente nella gran parte dei Paesi europei: nell’ambito dell’Unione europea si contano sulle dita di una mano gli Stati che ne sono privi, come ha sottolineato, tra gli altri, il costituzionalista italiano membro della Agenzia europea dei diritti umani, Oreste Pollicino, in un suo recente articolo (https://www.diritticomparati.it/e-arrivato-finalmente-il-tempo-della-italian-human-rights-institution/). Tale Commissione è prevista dalle Nazioni Unite sin dal 1993, quando l’Assemblea generale ha approvato i cosiddetti principi di Parigi, contenuti nella Risoluzione 48/134 del 20 dicembre sullo status delle National human rights institutions - Nhri.
Lo Stato italiano si è impegnato più volte davanti agli organismi dell’Onu, dichiarando ufficialmente che avrebbe istituito la Commissione nazionale diritti umani, con il compito di occuparsi della tutela dell’intero spettro dei diritti fondamentali. Ma l’impegno a oggi è rimasto inevaso.
La questione della previsione di una Commissione di tal genere si incrocia con l’adempimento degli obblighi europei. Gli Stati dell’Unione, infatti, in base a una direttiva (2000/43/CE) devono istituire «uno o più organismi per la promozione della parità di trattamento di tutte le persone senza discriminazioni fondate sulla razza o l'origine etnica, che possono far parte di agenzie incaricate, a livello nazionale, della difesa dei diritti umani o della salvaguardia dei diritti individuali». Tali organismi, che sono tenuti tra l’altro a fornire «assistenza indipendente alle vittime di discriminazioni», devono essere dotati della necessaria indipendenza, che in questi contesti significa primariamente indipendenza dal Governo. L’Italia aveva recepito tale direttiva con l’istituzione dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) quale articolazione del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri. Tale assetto però, come è evidente, mina la necessaria indipendenza (a prescindere dalle persone che ne hanno avuto la responsabilità). Da questa doppia esigenza (l’importanza dell’adempiere impegni presi pubblicamente in sede internazionale e la necessità di costituire organismi per la tutela dei diritti che siano realmente indipendenti) nasce l’emendamento alla legge europea in corso d’approvazione.
Il Garante nazionale ha partecipato attivamente al dibattito sull’istituzione del Nhri in Italia, nella sua attività di reporting al Parlamento, come anche attraverso audizioni davanti alla Commissione permanente Affari costituzionali della Camera dei Deputati.
La posizione del Garante nazionale parte da un’ottica che deve necessariamente tenere presente il lungo lasso di tempo trascorso da quando si aprì il dibattito sull’istituzione di tali organismi di promozione e protezione dei diritti umani. Il contesto attuale richiede l’ideazione di una Commissione che sappia rispondere in modo adeguato alle necessità di un mondo profondamente mutato e in costante movimento, in grado di sfruttare l’esistente nonché di valorizzare e potenziare gli apparati di promozione e protezione dei vari ambiti di tutela dei diritti umani. Una Commissione che non si sovrapponga all’esistente ma lo completi. Non bisogna, infatti, sottovalutare il rischio sempre annidato nella tutela multilivello: la presenza di più organismi a presidiare uno stesso campo non sempre aumenta il livello di tutela effettiva.
Il disegno di legge attualmente pendente sembra andare nella direzione giusta, configurandosi come organismo con mandato ampio, sufficientemente indipendente, che colma le lacune in termini di promozione e protezione dei diritti umani negli ambiti di vulnerabilità meno presidiati. E che in quelli in cui sono già presenti Autorità di garanzia ben funzionanti, si pone come interlocutore attento.